domenica 7 giugno 2015

Il pane di farro della antica Roma…una ricetta ricostruita

La storia del pane è antica quasi quanto la storia dell’uomo. Di questo alimento, da millenni al centro della cultura gastronomica mediterranea ed europea, si fa menzione già nella produzione letteraria sumerica, nell’Epopea di Gilgamesh, testo epico composto fra il 2600 e il 2500 a.C., la più antica di cui si conservi notizia, il nucleo originario precede di oltre 1500 anni i poemi omerici e l’Antico Testamento.

Al di là delle sue implicazioni simboliche, la presenza del pane nell’Epopea di Gilgamesh dimostra come questo alimento fosse conosciuto e diffuso nell’antica civiltà mesopotamica, così come lo fu nell’Antico Egitto da cui si diffuse in tutto l’ambito del Mediterraneo diventando un elemento comune a tutte le popolazioni.
I Romani conobbero il pane dopo il 168 a.C., anno in cui impararono le tecniche della panificazione da alcuni schiavi macedoni. Plinio ci racconta che prima i latini erano soliti consumare focacce non lievitate e polta, una densa zuppa preparata con grani di cereali schiacciati e bolliti nell’acqua. Numerose sono le testimonianze archeologiche e artistiche che raccontano la presenza del pane nella società della Roma antica: dall’affresco della Casa del fornaio e dalle forme di pane fossilizzate di Pompei al sepolcro di Marco Virgilio Eurisace a Porta Maggiore a Roma, fino ai rilievi e ai mosaici che illustranio il lavoro quotidiano del fornaio.
In molti casi le forme di pane raffigurate corrispondono alla tipologia del pane “quadratus”: una pagnotta divisa in otto spicchi da quattro tagli. Questo stesso tipo di pane compare anche in contesti paleocristiani dove i tagli sono due o tre, per ottenere pagnotte segnate con l’immagine della croce o il simbolo semplificato od occultato del monogramma di Cristo. Il nome quadratus deriva dall’incisione a croce che favoriva la divisione in quattro parti, quadrae.
Il panificio Casa del fornaio a Pompei I secolo d.C.

Rilievo dal sepolcro del fornaio Marco Virgilio Eurisace 30 a.C. circa


Come dicevo, il pane è uno degli alimenti più documentati dalle fonti storiche sia attraverso gli affreschi che i bassorilievi ed è attraverso queste raffigurazioni che ne conosciamo le fasi di preparazione e la vendita. A Roma, presso Porta Maggiore sorge il sepolcro del liberto Marco Virgilio Eurisace, un fornaio che aveva fatto fortuna grazie al collegium pistorum, la corporazione dei panettieri, stipulò contratti per la fornitura del pane alle autorità. Sul sepolcro sono presenti bassorilievi rappresentatnti le fasi della panificazione partendo dalla macinatura dei chicchi , assicurata dalle grandi lastre di pietra mosse dal lavoro di un asino, per proseguire con la setacciatura della farina, con l’impasto fino alla formatura e cottura al forno del pane.
Molti erano i tipi di pane prodotti a seconda degli usi, degli impasti e dei metodi di cottura. Il Panis siligineus era fatto con farina di qualità superiore; in funzione del grado di setacciatura della farina si producevano il pane cibarius, secundarius, plebeius, rusticus; tra i pani che dovevano conservarsi a lungo, una specie di gallette, c’erano il panis militaris castrensis per i soldati ,e il panis nauticus per i marinai. E poi quelli in uso nelle zone rurali che includevano leguminose, ghiande, castagne o i più elaborati a base di spezie, latte, uova, miele, olio. In base ai metodi di cottura si aveva il panis furnaceus, cotto al forno,o il subcinerinus, cotto sotto la cenere o il clibanicus, una focaccia cotta sulla parete esterna di un vaso arroventato.
Il farro era il cereale più apprezzato e fu il primo ad essere usato: i chicchi venivano leggermente abbrustoliti per per eliminare la pula e poi macinati per ottenere la farrina, termine che poi fu esteso ad indicare ogni tipo di cereale macinato, “la farina”.
Ne è risultato un pane con una leggera nota dolce dovuta al miele, per questo è adatto per la prima colazione e si abbina molto bene ai formaggi. In particolare usando il miele di acacia è ottimo con i formaggi erborinati o i pecorini, con il miele di castagno è perfetto con caciotte di media stagionatura.
Ingredienti
250 g di farina di farro
250 g di farina integrale
250 g di lievito madre
50   g di miele
5     g di sale
275 g di acqua
Procedimento
Mettere nella planetaria le farine, il miele, il lievito madre e 200 g di acqua, avviare la macchina ed impastare. Aggiungere poco per volta l’acqua rimanente controllando la consistenza dell’impasto e infine il sale e continuare a lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e ben incordato.
Formare una palla e trasferire l’impasto in una ciotola ben unta, coprire con la pellicola e far lievitare fino al raddoppio. Riprendere l’impasto e rovesciarlo sulla spianatoia spolverata di farina, arrotolare delicatamente fino a formare una pagnottina, appiattirla con un matterello, spolverare di farina, incidere e, dopo averla coperta, mettere a lievitare fino al raddoppio su una teglia ricoperta di carta forno.
Cuocere in forno statico a 250°C mettendo un pentolino con acqua sul fondo del forno. Dopo circa 15 minuti portare la temperatura a 210°C e continuare la cottura per altri 25-30 minuti circa, fino a quando è ben dorato. Spegnere il forno e lasciare freddare con lo sportello in fessura inserendo una cucchiaia di legno.
Le dosi utilizzate per questo pane sono tratte da: p&p, panificazione e pasticceria Una ricetta "ricostruita" a partire da quelle utilizzate nell'antica Roma.
  Bibliografia
  Lorenzo Bonoldi Artedossier
  Letizia Staccioli Archeoclub d'Italia

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